CRONACAPRIMO PIANO

L’isola e l’albergo, “a Purpetta” avvelenata

La Guardia di Finanza acquisisce una mole impressionante di documenti presso gli uffici amministrativi di un’azienda proprietaria di un prestigioso albergo. Che, secondo un teorema accusatorio, potrebbe essere stato acquistato con fondi messi a disposizioni da persone vicine all’attuale senatore Luigi Cesaro

DI GIOSUE’ ROSACROCE

E’ un intreccio che parte da lontano, ma nemmeno troppo. Laddove lontano non lo si intende nell’accezione geografica, quanto piuttosto cronologica. Un intreccio, o meglio una serie di intrecci, dove si mescolano politica (quella napoletana, e parliamo di pezzi da novanta e non mezze calzette) l’imprenditoria (quella locale, e anche qui siamo a livelli “top”, giusto per intenderci), l’acquisto di una struttura ricettiva di pregio sul territorio isolano e la provenienza dei fondi utilizzati per procedere alla conclusione dell’affare. Se a questi ingredienti, aggiungete che ad accendere i riflettori su questa vicenda abbiano provveduto le forze dell’ordine (è verosimile credere su delega dell’autorità giudiziaria) ecco che il quadro può ritenersi completato. E sulla carta, diciamolo pure senza mezze misure, non pare promettere nulla di buono o quantomeno, a voler essere generosi, inquieta non poco.

Per una volta, però, bisogna partire dalla fine e dalle indiscrezioni che circolano relative ad un blitz eseguito dalla guardia di finanza negli uffici amministrativi della società che detiene la proprietà del predetto albergo. I militari delle Fiamme Gialle, infatti, avrebbero preso visionato e poi acquisito una mole sostanziosa di documenti e incartamenti, con l’intento poi di spulciarli comodamente ai raggi X all’interno della Caserma. Evidentemente, con la regia della Procura della Repubblica, desiderosa a quanto pare di verificare se esistono carte in grado di fornire ulteriore supporto e riscontri ad un filone investigativo. Già, ma quale? E qui entrano in ballo i pezzi da novanta.

Ci riferiamo nello specifico al senatore Luigi Cesaro, esponente di spicco di Forza Italia in Campania, da tempo immemore nel mirino dell’autorità giudiziaria per una serie di vicende per le quali molto spesso è stato “schermato” dall’immunità parlamentare, che ha impedito anche solo di andare ad accertare eventuali responsabilità di colui che è unanimemente riconosciuto con l’appellativo di “Gigino ‘a purpetta”. Gli inquirenti sospettano che Cesaro, o comunque suoi familiari o persone a lui direttamente o indirettamente collegati, potrebbero aver avuto un ruolo determinante da parte dell’imprenditore isolano nell’acquisizione della struttura ricettiva, per il tramite dell’erogazione di un non meglio precisato “quantitativo” di denaro, ma certo si parla di somme importanti. Un esborso notevole, decisamente considerevole, di quelli che difficilmente possono avvenire in contanti ma secondo gli inquirenti devono per forza di cosa avere un “passaggio” bancario e dunque tracciato, anche se magari sotto mentite spoglie. E non si esclude che è proprio questa la chiave che stiano cercando gli investigatori, per ricostruire un tassello fondamentale di questo complesso e intricato mosaico.

Ma non è tutto, perché chi ha messo gli occhi su questa possibile operazione è deciso anche ad andare oltre. Cercando di capire in quale misura – ovviamente evitando di commettere palesi irregolarità – si potesse fare in modo che la somma investita o elargita per l’acquisto dell’albergo potesse tornare indietro. E il sospetto, peraltro tutto da verificare, è che una parziale contropartita potrebbe essere stata rappresentata da un contratto di consulenza stipulato da una persona molto vicina a Cesaro con un ingaggio decisamente sostanzioso. Ma queste, allo stato, sono poco più che semplici illazioni anche perché ovviamente nulla trapela né dagli uffici della Procura né dalle Fiamme Gialle, vista la delicatezza del lavoro che si sta svolgendo.

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Per la cronaca, proprio di recente la famiglia Cesaro si è trovata ad essere travolta da un nuovo tsunami giudiziario. Nell’ambito di una inchiesta condotta dai carabinieri del ROS, con il coordinamento della Dda di Napoli (e nello specifico dei pm Giuseppina Loreto e Antonella Serio) erano state eseguite una serie di ordinanze di custodia cautelare relative alle ramificazioni dei clan camorristici Puca, Verde e Ranucci attivi nella zona di Sant’Antimo. La misura degli arresti domiciliari venne notificata ad Aniello e Raffaele Cesaro, peraltro già coinvolti in un’altra inchiesta su presunte collusioni con la camorra. L’accusa contestata è di concorso esterno in associazione mafiosa. In carcere invece è finito Antimo Cesaro, così come per lo stesso senatore Luigi era stato chiesto l’arresto con detenzione dietro le sbarre.

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