LE OPINIONI

IL COMMENTO Dentro le pieghe del rischio ambientale

DI GIUSEPPE LUONGO

Quando si affronta il problema dell’analisi del rischio ambientale per evitare o almeno ridurlo a livello accettabile per la comunità esposta, bisogna distinguere tra il rischio dell’inquinamento del suolo, delle acque e dell’aria, prodotto da attività antropica, da quello associato ai fenomeni naturali intensi e dall’antropizzazione del territorio. Nel primo caso, l’inquinamento dell’ambiente produce effetti negativi alla salute e tale risultato si traduce non solo in un dramma ai singoli e alla collettività, ma anche in un costo abnorme per contenerne gli effetti negativi. Questa problematica investe il settore della salute che opera nella fase di contenimento del danno, mentre manca o risulta inadeguato l’intervento alla sorgente del processo. In buona sostanza quando si riesce a risalire dagli effetti negativi alla salute alle cause che hanno determinato tale condizione, ovvero quando sono individuate le sorgenti inquinanti, gli interventi riparatori per riportare le condizioni ambientali allo stato di salubrità, sono spesso fiacchi o poco incisivi. Le leggi su questa tematica sono rigorose e generalmente ben articolate, ma la loro applicazione lascia molto a desiderare. È una costante nel nostro paese la forte distanza tra quanto prevede la legge e la pochezza dei controlli della sua applicazione. Abbiamo esempi clamorosi di inquinamenti prodotti da attività industriale non rispettose di leggi e regolamenti, di attività malavitose nello smaltimento dei rifiuti, di reti di servizi poco efficienti allocati nel sottosuolo come fogne e acquedotti. I disastri elencati avvengono con una distribuzione sui territori a macchia di leopardo e in tempi diversi, così non appare chiaro quanto siano diffusi e frequenti e come tutti siano esposti. Questa condizione fa sì che un evento calamitoso che si è preparato per lungo tempo, appare emergere per caso come elemento eccezionale e così si risponde con emozione alle manifestazioni sull’evento, ritenendolo estraneo alla gran parte dei manifestanti. L’emozione non si concretizza in fatti per una maggiore sicurezza, perché il cambiamento avviene solo se vi è una crescita culturale e perché ciò accada occorrono tempi lunghi e perseveranza nel voler cambiare.

Uomo e Ambiente non trovano il giusto equilibrio non solo a livello locale, ma anche in quello globale. Secondo le dichiarazioni delle Agenzie delle Nazioni Unite che operano sul clima, l’uomo con la sua attività e l’utilizzo delle risorse energetiche fossili produrrebbe con le emissioni di anidride carbonica (CO2) l’effetto dell’aumento della temperatura dell’atmosfera e il cambiamento del clima globale, come testimonierebbero il succedersi delle siccità e delle manifestazioni temporalesche intense e frequenti. I giovani manifestano contro l’utilizzo delle fonti energetiche fossili e i paesi nei consessi internazionali provano a trovare un accordo per ridurre le emissioni di CO2, ma gli interessi contrastanti tra paesi maggiormente sviluppati e quelli in crescita non consentono accordi molto robusti sulla riduzione delle emissioni. Tutto ciò sta producendo una riorganizzazione globale dei rapporti tra i paesi per prepararsi ad un nuovo equilibrio di forze per un futuro ignoto. Di fronte a processi globali delle dimensioni che stiamo sperimentando l’uomo è attonito perché il suo modello di Terra è quello di un pianeta solido, caratterizzato da un clima ripetitivo con una periodicità stabile, variazioni del livello del mare quelle previste dalle maree che si sono sempre ripetute sia nel quotidiano che nelle stagioni, la neve con le precipitazioni fino alle stesse quote anno dopo anno, i ghiacciai sulle catene montuose, nell’Artico e nell’Antartide sempre nelle stesse aree. Tutto cambia per la variazione della temperatura dell’aria. La confusione aumenta quando alcuni scienziati attribuiscono il cambiamento climatico all’azione del sole con la sua attività e non a quella dell’uomo. Altri rilevano che periodi freddi e periodi caldi si sono sempre succeduti sulla Terra, come dimostrano le ere glaciali e interglaciali ed alcune segnalazioni di periodi caldi e periodi freddi in tempi storici. A queste osservazioni i sostenitori della causa antropica del cambiamento climatico rispondono che nel passato geologico le variazioni della temperatura avveniva lentamente, mentre in questi anni l’incremento avviene con maggiore rapidità. Sarebbe tale rapidità a provare l’intervento dell’uomo nel cambiamento climatico.

Se ci si cala in una problematica locale, agli eventi di fondo si sommano i processi locali che possiamo definire di alta frequenza, ma di piccola area di azione. Eventi con tali caratteristiche vanno dalle frane, ai terremoti, alle eruzioni, in quanto creano localmente problemi seri per la sicurezza degli insediamenti. L’energia associata a tali eventi è contenuta rispetto a quella liberata dai processi della dinamica globale e le misure per il loro contenimento sono sperimentate con risultati positivi. Ma l’intervallo tra un evento significativo e l’altro è spesso superiore ai tempi per la conservazione della memoria storica e così le comunità esposte tendono a cancellarlo per pigrizia, per mancanza di conoscenza, per interesse a superare i vincoli che lo stesso territorio ha segnalato. Ricordiamo a noi stessi che l’evoluzione dellaciviltàconsente, con le tecnologie evolute in nostro possesso, di utilizzare il territorio con scelte che sono sempre meno condizionate dalla sua natura, ma ciò non può accadere, senza il rischio di pagare un conto molto pesante, se chi governa le scelte non utilizzacon oculatezza le conoscenze disponibili.

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