LE OPINIONI

IL COMMENTO Storie di mare, storie di uomini coraggiosi

Procida non finisce mail di sorprendermi. In questi giorni Franco Marino, mio amico carissimo e da molti definito affettuosamente il “Sindaco di Sèmmarèezio”, mi ha inviato un plico contenente dei fogli scritti relativi allavita di bordo di un veliero procidano degli inizi del ‘900. Ho, come si suol dire, aguzzato gli occhi e la mente. Man mano che leggevo mi si apriva davanti un mondo per me sconosciuto e penso tale anche per maggioranza dei miei simili. Lo scritto, in doppia versione,italiano ed inglese, è un’incursione a gamba tesa nella quotidianità del veliero “Sofia”, al comando del nostro compaesano Antonio Scotto di Monaco, figlio dell’armatore Ramunno, sempre procidano. Lo scritto si riferisce a tutta una genia di uomini di mare che prendono vita man mano con tutte le loro problematiche, i loro desiderata, i loro crucci. E’ l’anima di Procida che viene fuori da questi fogli. Noi, uomini di oggi, pur essendo uomini di mare, abbiamo perso il concetto della navigazione a vela. In queste pagine è proprio questo che viene fuori: il gusto romantico (ed anche pericoloso) del sentirsi il vento in faccia sulla tolda di un veliero. I dialoghi di questo comandante con il suo secondo, lo spedizioniere, il carpentiere ed altre figure di bordo sono piani e pur dotati di un fascino profondo. “Comandante – fa lo spedizioniere nel porto di Liverpool – Siete giunto in porto in anticipo” “Sicuro – risponde l’interrogato -Venti allegri hanno gonfiato le vele e spinto la nave”. Notare che i venti vengono definiti allegri, quasi fosse un gioco ed invece si trattava di giocare con il mare, a volte molto pericoloso. E il nostro comandante lo sapeva bene. Più avanti questi si preoccupa che la nave sia stabile e per tanto sorveglia la caricazione delle merci varie che deve trasportare. Si preoccupa del suo assetto, che non sia sbilanciato. Ordina al “Veliere” di riparare qualche vela; al carpentiere di controllare le tavole del ponte; e questi risponde che ha già dato incarico al calafato. Mentre leggo alla mente mi viene mio nonno materno che era calafato: mi calo nella realtà di questi mondo marinaro ormai scomparso e mi sembra di sentire l’odore della stoppa e del catrame. E prende consistenza sullo scenario davanti a me la figura di questo comandante di un’altra epoca, di una navigazione a mani nude, col vento in faccia, con gli occhi aguzzi a cercare di scorgere terre lontane, con il grido dei gabbiani nelle orecchie annunciatore della costa vicina. 

Altri Tempi! Eppure sono passati sulla pelle dei nostri avi. Questo comandante abitava a Procida, largo Castello, la “Spianata”; sulla facciata di casa sua si scorge ancora il “mamozio” apotropaico. Era il tempo in cui ci si affidava all’occulto per scansare pericoli e malattie. Immaginarsi quale importanza avessero queste pratiche per gli uomini di mare, sempre con la morte sul collo. Il libro è scritto in italiano ed inglese di cui il nostro comandante aveva una conoscenza perfetta, al punto da essere chiamato presso il nostro Istituto nautico per insegnarla agli allievi. Man mano che vado avanti nella lettura mi immergo sempre di più nel vissuto antico di Procida. Quanta storia, quanti fatti che ancora non conosciamo, quante avventure, quanti uomini coraggiosi emergono dalla nebbia del passato di questa nostra isola! Ed il comandate Antonio Scotto di Monaco, della genìa dei “Ramunno” è uno di questi.

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