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La chiesa ischitana tra osservazioni e analisi

Nell’anno che si è appena chiuso, in più occasioni, mi è capitato di leggere considerazioni sulla gestione della chiesa ischitana che, usando un eufemismo garbato, definirei poco appropriate. Ho sempre pensato che, quando si ritiene di dover parlare di istituzioni, che segnano la vita di ognuno di noi, lo si debba fare con il dovuto rispetto e soprattutto documentando ciò che si asserisce. Diversamente: il rischio è di determinare allarmismo, sconcerto e inutile discredito sia verso l’istituzione presa di mira che del sistema informativo usato. Per tale motivo mi sono sempre astenuto dal fare il ripasso a qualche “pubblicata d’occasione” per evitare che “distorsioni” fossero risaltate più volte. Da ultimo, però, si è ritornato nuovamente sull’argomento dei “due preti allontanati” Giovanni Trofa e Nello Pascale con uno scritto, del 19 dicembre scorso, dove lo sproposito è evidente. In esso, grammatica a parte, si usano espressioni che, definire senza nè capo nè coda, è esercizio di garbo. Un mio vecchio professore di italiano, avrebbe sentenziato: “sono prive di sostanza e di qualità” aggiungendo poi, con sguardo al cielo ed espressione sprezzante “non ti curar di lor ma guarda e passa”!!. Nello scritto in esame, con riferimento alla condizione della chiesa isolana, è ritenuto che essa vive  “Un fermento che è diventato visibile a tutti con l’allontamento di don Giovanni Trofa e di Don Nello Pascale dalle rispettive parrocchie. Una separazione forzata dei due preti dallo Schiappone e da Fontana in seguito ad un processo basato su alcune lacunose accuse e che, nel frattempo, si sta svolgendo nelle sedi opportune”. La portata di tale espressione è sconcertante. E’ detto: i sacerdoti Trofa e Pascale sono stati allontanati in seguito ad un processo che, nel frattempo, si sta svolgendo altrove. Ma, ci si rende conto di ciò che si scrive? Se il processo si sta celebrando, è evidente che non si è ancora celebrato e nessun allontanamento forzato c’è stato. Si tratta, evidentemente, di altra cosa (che nessuno sa quale sia) a seguito di qualche contestazione. Si tratta, quindi, di una evenienza che, evidentemente, è negli obblighi del ruolo accettato (come può essere quello della divisa o di dover dire messa)  e che, come tutte le evenienze, poteva anche essere rifiutata con libertà di prendere una via diversa. Come potrebbe essere per un carabiniere che è trasferito in altra zona e si rifiuta. Lascia e va via. Un secondo periodo è così articolato –faccio copia e incolla con le relative addizioni di vocali – per non aggiungere altro:  “Una distacco, quello tra parroco e fedeli che, specialmente a Fontana non viene vissuto bene, che è sfociato in più di un episodio poco gradevole e che vede una “resistenza armata” che difende Don Giovanni a spada tratta contro il nuovo corso imposto dalla diocesi ischitana.” Orbene: visto che  l’incipit appare confezionato da un comunicante, che si manifesta, appartenente a quella comunità che conosco molto bene, faccio fatica a ritenere, essendo del posto, che al di là di qualche facinoroso, certe considerazioni (“ resistenza armata che difende a spada tratta..”), siano relative di un sentire sociale comune. Anche in considerazione del fatto che mi giungono considerazioni di indirizzo diverso. Un mio amico del posto, gay dichiarato e persona seria che non “sganghera” il suo approccio sessuale, argomentando sulla vicenda, dettata dalla pruriginosità delle discussioni da bar, senza scendere in dettagli di sorta, mi ha detto “quando si esagera c’è sempre uno scotto da pagare”. Sintesi illuminante che non richiede  aggiunte. Detto ciò, ritengo che, per il rispetto che si deve ad ogni persona che si trovi ad affrontare un percorso diverso da quello suo solito, il silenzio resta sempre la migliore pratica difensiva. La pruriginosità della gente è sempre dilatata rispetto al vero. Per cui ogni parola, ogni strepito, non fa altro che riportare l’argomento/i nella macelleria della mente per scopi non molto nobili. Non serve alla causa del sacerdote Giovanni Trofa, anzi lo danneggia enormemente, che qualche scalmanato sbraiti o addirittura tenti un aggressione verso il parroco mandato a rendere un servizio ai fedeli. E’ da considerare che sarebbe stato molto più facile (vista la penuria di preti) chiudere la/e chiesa in esame. Pertanto è da apprezzare il senso di responsabilità, di chi è responsabile della diocesi sull’isola d’Ischia, che consente che quella/e comunità abbiano il proprio luogo di culto aperto per professare la fede in Dio. Non al prete. Continuando nell’esame dello scritto di riferimento, la cosa che lascia poi, particolarmente esterrefatti, è che dal congelamento delle attività liturgiche di due sacerdoti che, sicuramente, non specchiavano della “luce dello Spirito Santo”, sia stato adombrato un possibile trasferimento ad altra sede del vescovo Mons. Lagnese. Il periodo che il “danneggiante protagonista” della causa congelata, ha usato è così articolato “Accolto pochi anni fa, in una domenica di maggio, Lagnese è crollato sotto il peso e il paragone del suo predecessore. Quel Filippo Strofaldi che ha lasciato in molti un buon ricordo e che ha pagato dazio quando si è messo contro il sistema del clero imperante locale (vero don Gino Ballirano?). Lagnese sarebbe potuto passare per il vescovo della riabilitazione. Avrebbe potuto iniziare un percorso di pulizia (come dice qualche tifoso del vescovo) e buttare fuori chi non andava bene. Invece il parroco di Vitulazio ha scelto di dare voce ad un singolo movimento a discapito del resto della comunità cattolica isolana. Una scelta che non lo ha aiutato e che oggi, non gli consente di gestire in maniera unitaria il gregge.”  Che dire? Espressioni sconclusionate e folli come quelle  “quì incollate” non richiedono commenti: nè giornalistico, nè di considerazione sociale o di grammatica. Ne stimolano tanti, anche in chiave ilare, soprattutto in chi,  nei tempi, anelati dal “danneggiante protagonista”, ha più volte intinto la penna nel calamaio risaltando discrasie ed eventi. Incominciamo l’anno nuovo considerando innanzitutto il rispetto che ognuno di noi deve, sia al proprio simile in difficoltà che alle istituzioni che rappresentano tutti. Lasciando che gli eventi e la verità facciano il proprio corso. acunto@libero.it

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