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Lucio Pilato patteggia una condanna a due anni di reclusione

Il tribunale di Napoli, nella persona del giudice per le indagini preliminari ha condannato con la formula del patteggiamento il commerciante ischitano Lucio Pilato alle pena di due anni di reclusione, con pena sospesa. L’uomo, difeso dall’avv. Antonio De Girolamo, come si ricorderà era finito agli arresti domiciliari al termine di un’indagine che aveva fatto emergere una truffa sui cellulari e soprattutto su alcune polizze che venivano stipulate sugli stessi con acquirenti e intestatari dei contratti che in diversi casi (come appurato dall’attività investigativa condotta dai carabinieri di Ischia) erano assolutamente all’oscuro di tutto. L’avv. Antonio De Girolamo, difensore del Pilato, aveva avanzato richiesta di patteggiamento subordinata alla concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena. Un accordo tra le parti veniva raggiunta ed il giudice motivava che la stessa potesse essere accolta.

Come si legge nel dispositivo, «preliminarmente si rileva la insussistenza di qualsivoglia ipotesi di proscioglimento ex art. 129 c.p.p., atteso che la contestazione dei reati in esame di cui alla rubrica scaturisce dagli accertamenti espletati dalla pg e ben compendiati in ordinanza applicativa della misura degli arresti domiciliari emessa dal gip il 17 marzo 2017  a carico dell’indagato titolare di esercizio commerciale di rivendita telefoni. Si tratta di reati di falsità materiale in atto pubblico con contraffazione di sigillo, attraverso la formazione di falsi verbali di denunzie di furto di telefoni cellulari inviati alla società Assurant Services che, con gli artifici e raggiri costituiti proprio dalla formazione di quei numerosi falsi verbali di furto, indotta in errore sulla genuinità delle denunce, inviava trenta telefoni cellulari al Pilato che così si ricavava un ingiusto profitto con pari danno della persona offesa (in ragione delle condizioni sottese a tale tipo di operazione commerciale, programma “Sempre Sicuro”)». Il giudice, tra l’altro, ricorda come i fatti in questione fossero stati ammessi dall’imputati in sede di interrogatorio di garanzia.

La dott.ssa Alessandra Ferrigno continua scrivendo che «corretta risulta dunque la qualificazione giuridica dei fatti contestati all’imputato. La pena concordata tra le parti può definirsi congrua alla entità complessiva del fatto nonché corretta nella determinazione finale, anche con il riconoscimento delle attenuanti generiche anche per il comportamento processuale del Pilato in base al calcolo che segue: pena base per il più grave reato contestato al capo a) della rubrica previo riconoscimento delle generiche prevalenti sulla contestata aggravante anni mesi quattro di reclusione aumentata per la continuazione interna ad anni due di reclusione e per la continuazione con i reati di cui ai capi b) e c) della rubrica ad anni tre di reclusione (mesi sei per ciascun reato) e ridotta per il rito a quella finale di anni due di reclusione, di cui al dispositivo». Insomma, tutto nella norma con il patteggiamento che ha portato ad uno sconto di un terzo della pena. Il gip, infine, osserva che «si rileva che in considerazione della entità della pena e della incensuratezza dell’imputato può certamente concedersi la sospensione condizionale della pena, a termini e condizioni di legge, potendosi considerare occasionale il comportamento delinquenziale adottato e non reiterabile di legge». Insomma, con questa sentenza cala definitivamente il sipario su una vicenda che nella scorsa primavera aveva davvero scosso l’isola d’Ischia, alle prese con una storia che fece molto scalpore non fosse altro perché ci si trovò dinanzi ad un noto commerciante coinvolto in fatti di cronaca che nessuno avrebbe mai immaginato. La condanna arrivata pone anche fine ad una serie di obblighi che venivano imposti al Pilato, come quello che gli avrebbe impedito di poter tornare ad esercitare l’attività lavorativa nel negozio di famiglia per un periodo di sei mesi a partire da quando fu rimesso in libertà dopo aver scontato un periodo di detenzione agli arresti domiciliari.

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