CRONACAPRIMO PIANO

Troppe ombre sul sistema-Ischia, l’allarme di Gigiotto Rispoli

Il docente universitario interviene nel dibattito sulla ripartenza del turismo locale, e lancia un monito alla politica: «I sindaci si sveglino, e chiedano conto agli imprenditori delle loro scelte, prima che sia troppo tardi. Senza confronto tra le parti sociali non ci sarà futuro»

La cronaca locale dei giorni scorsi è stata in parte occupata dai commenti alle decisioni di taluni imprenditori, che hanno scelto di non riaprire le loro attività per la stagione in corso. Tra questi vi sono anche strutture di grande rinomanza, come i Giardini Poseidon: decisioni che hanno innescato un intenso dibattito. Per cercare di “tirare le fila del discorso” e innescare riflessioni che investano l’intero sistema-Ischia, abbiamo conversato a lungo con il professor Francesco “Gigiotto” Rispoli.

Professor Rispoli, che idea si è fatto di questa anomala situazione?

«La prima riflessione che si può fare, è che tutto ciò avviene nell’assenza più totale di qualsiasi reazione delle amministrazioni locali. Che sia un diritto decidere di non aprire le proprie strutture, nessuno lo discute. Quello che tuttavia in una società democratica dovrebbe essere considerato come un dovere, è il dare conto dei motivi e dialogare con le diverse forze in campo, quelle politico-amministrative, quelle imprenditoriali, quelle legate ai lavoratori. Una volta c’erano i sindacati, ma mi pare che i sindacati, al di là della protesta, che va in scena anche oggi nelle piazze, siano sostanzialmente assenti. Quello che sembra emergere, insomma, è l’assenza totale dello strumento della concertazione tra le parti: manca completamente qualsiasi tipo di confronto. Di più: manca lo Stato, nelle sue articolazioni locali, dai sindaci ai consigli comunali, che si limitano a raccogliere le chiavi di quelli che chiudono le attività, come se il loro ruolo non fosse quello di creare un dialogo, per tentare di trovare le forme per attutire certi rischi».

Alcuni invece hanno deciso di riaprire nonostante le tante incognite.

«Le amministrazioni locali sono completamente assenti. I nostri sono sindaci “ringraziatori”, sanno solo ringraziare medici, forze dell’ordine, ma non avviano un dialogo, un confronto con gli imprenditori locali, che da parte loro agiscono legittimando la vecchia immagine dell’imprenditore che privatizza i profitti e socializza le perdite»

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«Sì, tra gli imprenditori si crea una condizione per cui alcuni, benemeriti, non solo riaprono, ma cercano di rimanere aperti per tutto l’anno, superando la stagionalità. Essi sono coloro che sembrano cogliere la sfida del tempo nuovo, un po’ come nel “New Deal” americano degli anni ‘30, creando una piccola “Tennessee Valley Autority” (società federale di sviluppo economico regionale creata nel 1933 nello Stato americano del Tennessee, ndr) su base locale».

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Quindi Lei auspica un maggior intervento da parte del “pubblico”.

«Io sono un vecchio socialista, e quindi non posso non osservare gli eventi se non attraverso la mia esperienza politica, uno sguardo che fra l’altro in questo momento non mi sembra nemmeno essere così partigiano, ma con un’apertura credo molto ampia, in modo da abbracciare gli interessi dell’intera isola, senza fare distinzioni tra lavoratori e imprenditori, come avveniva in altri tempi. Quei tempi sono superati, almeno da quarant’anni, a fronte di una società attuale estremamente articolata. Ora, purtroppo osservo che sull’isola gruppi imprenditoriali pur importanti prendono decisioni nell’assenza totale di ogni azione amministrativa dei sindaci, che dovrebbero rappresentare lo “Stato”, una parola che per i nostri sindaci è solo il participio passato del verbo essere».

Quale dovrebbe essere in pratica il ruolo degli amministratori?

«Voglio fare esempi concreti: siccome questi imprenditori usano largamente strutture e beni comuni, come spiagge, concessioni termali, suolo pubblico, i nostri sindaci dovrebbero rivolgersi a loro dicendo: “Voi utilizzate beni pubblici, noi rappresentiamo la cosa pubblica: cerchiamo insieme di conciliare i diversi interessi, trovando delle soluzioni”. Nel dettaglio, in un momento in cui si paventa che a Ischia sbarcheranno pochi visitatori, si potrebbero creare delle agevolazioni chiedendo ad alcune strutture, come Villa Arbusto, il Castello Aragonese e tantissime altre, così come alle compagnie di navigazione, di praticare degli sconti, e alla Regione di sostenere tali compagnie di navigazione che praticano questi sconti. Non parliamo di cose eccezionali: sono almeno quarant’anni che le compagnie di navigazione percepiscono dei contributi. Non si capisce perché adesso debbano percepire contributi “a pioggia” che non vengano finalizzati a un piano più generale, che riguarda non soltanto l’occupazione dei lavoratori marittimi, cosa giusta,ma anche a un piano di rilancio più complessivo. Anche i Comuni potrebbero essere coinvolti in agevolazioni fiscali, come la tassa per i rifiuti, il costo dell’acqua, sempre in accordo con i provvedimenti regionali e statali. Ecco, questa mi sembra che debba essere la “politica” come interesse pubblico».

L’industria turistica dovrebbe quindi sintetizzare le due esigenze, imprenditoriali e pubbliche?

«Bisogna rilanciare il parametro dell’equità, come connubio tra i meriti imprenditoriali e i bisogni delle comunità locali, una reciprocità che chiami in causa i diritti e i doveri di ciascuno. La politica deve innescare il dialogo con gli imprenditori per avviare una concertazione ormai necessaria e non rinviabile»

«Certo, pensiamo alle risorse culturali del territorio: non si può pensare che l’isola, di punto in bianco e con la pandemia in corso, faccia delle spiagge l’uso che ne è stato fatto ogni anno. C’è una condizione di emergenza, quindi chi viene a Ischia dovrebbe poter avere l’alternativa alla spiaggia, ad esempio andare a visitare altri siti, e mi riferisco ai beni culturali come i già citati Castello Aragonese e Villa Arbusto, e i tanti altri di cui l’isola è ricchissima. Dunque, se gli imprenditori potessero risparmiare sulla tassazione, credo che si metterebbe in moto un circolo virtuoso che in qualche modo mette i turisti che vogliono venire a farsi una vacanza a Ischia in condizione di venirci in tutta sicurezza. Gli aggravi di costo per gli imprenditori verrebbero ammortizzati da provvedimenti statali o regionali».

Qual è l’ostacolo alla concretizzazione di tali misure?

«Semplice. Le amministrazioni sono immobili, e gli imprenditori si muovono ciascuno autonomamente, senza un coordinamento, ed è ancora peggio: ciò finisce per legittimare una visione anacronistica dell’imprenditore, come colui cioè che estrae plusvalore dalle pratiche occupazionali ,quando esiste tale plusvalore, e che invece chiude i battenti quando il plusvalore non c’è. Come dicevano i sindacalisti della mia generazione, si finisce per “privatizzare i profitti, e socializzare i debiti”».

In un contesto del genere, programmare anche solo in minima parte il futuro sembra velleitario.

«Su “Il Golfo” ho letto il fondo di Franco Borgogna, che io condivido largamente: uno stimolo agli imprenditori a darsi da fare per contribuire a costruire il futuro dei giovani, perché è di questo che stiamo parlando: la politica intesa come costruzione di futuro. Non penso certo a una politica di piccolo cabotaggio. Il problema è che i sindaci attuali sono sindaci “ringraziatori”, ringraziano i medici, ringraziano gli infermieri, ringraziano la Polizia, ringraziano i Carabinieri, ringraziano la Protezione civile, ma non si è capito cos’altro fanno. Se il sindaco di Forio, tornando alla questione-Poseidon, non chiama i titolari dell’azienda a un tavolo per un confronto, a cosa serve l’amministrazione? Se la stessa azienda apre però solo la spiaggia, seminando il sospetto che lo faccia soltanto per non perdere la preziosa concessione, ecco, io non voglio pensar male, ma di fronte a certe decisioni il dubbio viene naturale. Qualcuno, siccome il Decreto-rilancio contiene molte risorse anche per l’edilizia, pensa che un rilancio dell’edilizia possa alleviare questo momento di difficoltà economica anche sull’isola. Potrebbe anche essere, ma si tratterebbe, come scrive Borgogna, di un fatto temporaneo, che non deve assolutamente scatenare ulteriore abusivismo».

Un fenomeno che l’isola ben conosce..

«Sull’isola da decenni la politica di piccolo cabotaggio ha ridotto i diritti a delle “mance” che si elargiscono come il pane ai poveri, un pane inquinato dal voto di scambio»

«L’abusivismo, per vari decenni, ha costituito il più potente ammortizzatore sociale di quest’isola. L’abusivismo è stato purtroppo malinteso politicamente, anche dalla mia generazione: in realtà esso serviva esclusivamente a tenere in piedi un meccanismo, per cui le persone per sei mesi lavoravano in albergo e gli altri sei mesi nell’edilizia».

Quindi il suo appello si rivolge anche, se non soprattutto, alla politica locale.

«Certo! Perché essa oggi è del tutto assente. Dico ai sindaci: svegliatevi! Tocca a voi, siete voi a rappresentare le comunità, la gente di quest’isola: siete voi che dovete avviare i processi di concertazione. Non dovete aspettare per fare il conto di chi apre e di chi chiude. Dovete ascoltare le varie categorie, capire cosa possono fare loro per il bene comune, e dovete capire cosa potete fare voi per loro, parlatevi, fin quando siete in tempo. Non bisogna aspettare settembre, ottobre, novembre, quando la gente sarà per strada perché, come si dice, non avrà modo di mettere il piatto a tavola. Fra l’altro, purtroppo per molti anni sull’isola si sono perpetrate politiche impropriamente “assistenziali”. Un tipo di politica che riconosce i diritti sotto forma di “mancia”, che viene concessa ai poveri come il pane per i plebei. Un pane amaro, indigesto, smerciato in termini di voto di scambio.

Una situazione nella quale anche i giovani non trovano sbocchi.

«Patrimonio, comunità, municipio: tre parole che hanno in comune la radice latina “munus” che vuol dire sia “dono” sia “compito”. L’isola è un patrimonio che abbiamo avuto in dono ma che abbiamo il compito di consegnare alle future generazioni, evitando che la comunità locale si sgretoli come sta avvenendo. E la politica non deve essere intesa come occupazione del municipio, ma come insieme di diritti e doveri della cittadinanza»

«Proprio così, penso alle nuove categorie, ai giovani professionisti, al popolo delle partite Iva. Ormai non esiste più il vecchio schema della classe padronale e della classe operaia, tuttavia ci sono tantissimi ceti deboli su quest’isola. Anziani con pensioni minime, giovani che bussano al mercato del lavoro, che vorrebbero trovare un lavoro e mettere su famiglia, ma che non ci riescono perché non hanno uno stipendio né una casa. Sto pensando anche gli immigrati, spesso oggetto di contumelie ingiustificate, ma anche ai nostri emigrati. Parlo degli ischitani che emigrano: attualmente il numero degli isolani emigrati supera ampiamente quello degli anni ’50 e ’60. Della ricchezza che l’isola produce, non resta pressoché nulla agli isolani: non è più lo sviluppo dell’epoca di Angelo Rizzoli, che come Olivetti non faceva solo impresa, ma teneva conto anche delle condizioni sociali dell’ambiente in cui operava. Quando Rizzoli costruiva gli alberghi a Lacco Ameno, tutta l’isola cresceva, i contadini mandavano i figli all’università. Oggi i contadini, che non ci sono più, sono i professionisti, che però mandano i figli all’estero».

Dunque, di fronte alla logica del profitto imprenditoriale che ha dominato gli ultimi decenni, Lei sembra credere ancora all’efficacia della politica?

«Sono sempre convinto che la classe politica dovrebbe darsi da fare per concretizzare quel parametro dell’ “equità” che già mettemmo a fuoco alla conferenza di Rimini del 1982, quando si parlò di alleanza riformista tra meriti e bisogni. Ecco, significa mettere insieme i meriti di alcuni imprenditori, i bisogni di chi lavora, gli interessi legittimi degli stessi imprenditori e di chi rappresenta le comunità locali, un principio di reciprocità tra diritti e doveri. Quindi, e mi rivolgo agli imprenditori, avete il diritto di chiudere, ma anche il dovere di dare spiegazioni, di dialogare: non siete una controparte, bensì siete una parte del tessuto sociale. Io credo nell’importanza degli imprenditori, ma la classe imprenditoriale deve dialogare con quella politica, deve attivarsi per innescare i canali di dialogo e concertazione».

Forse sono gli stessi cittadini a non essere sufficientemente consapevoli del valore dell’azione politica.

«Su questo punto c’è una cosa che ho spesso ripetuto in vari convegni e sulla quale vorrei che si riflettesse. Ci sono tre parole: patrimonio, comunità, municipio, che hanno una cosa in comune, la radice latina di “munus”, che significa allo stesso tempo “dono” e “compito”. Ecco, “patrimonio” significa “patris munus”, cioè compito del padre. Ma i figli saranno a loro volta padri, e quelli che sono i doni diventeranno compiti: a Ischia abbiamo avuto in dono un patrimonio dalle passate generazioni, ma non possiamo sperperarlo, perché è nostro compito passarlo alle future generazioni. La seconda parola è “comunità”, e devo dirle che parlare di comunità in relazione all’isola mi rende scettico. O si contribuisce con un progetto, col lavoro, con un impegno a costruirla, oppure non esiste comunità, essa evapora, si sfarina, come si sta sfarinando la comunità isolana. Infine, “municipio”, è ciò che ci conferisce i diritti di cittadinanza, ma anche i nostri doveri. Quindi tre parole che contengono il diritto e il dovere, il patto di reciprocità con il tempo, con l’ambiente, con la società, con le istituzioni civili. Ecco la prospettiva che dobbiamo comprendere: nessuno di noi è “padrone del municipio”, io non ho mai avuto la visione della politica intesa come occupazione delle istituzioni. Se alcuni, e credo che in giro ce ne siano molte di queste persone, pensano che fare politica sia andare a occupare il municipio, mi auguro che presto cambino rotta. In particolare, mi auguro che i sindaci diventino sindaci operosi, che si occupino del bene comune. Mi auguro che nel prossimo autunno io non debba constatare ancora l’attuale stato di cose né di essere stato profeta di sventure. Non entro nella querelle “Poseidon deve aprire o può chiudere”, ma bensì dico che il sindaco ha il dovere di confrontarsi e dialogare con l’imprenditore. Fra l’altro parliamo di una struttura di livello internazionale, e la decisione di chiudere è comunque gravissima, così come quando si sente dire che la cancelliera tedesca Angela Merkel vorrebbe tornare a Ischia, ma siccome il Miramare è chiuso, potrebbe ripensarci, parliamo di una cosa gravissima, che va ad alimentare il pettegolezzo degli sciacalli di turno che descrivono una Germania che vuole affossare l’Italia».

Che aspettative ha sul turismo locale, almeno a breve termine?

«Sono anni che viviamo un turismo che già presentava forti criticità, ma che in qualche modo è stato spesso aiutato da tragedie altrui, come ad esempio dalla grande tragedia della guerra dei Balcani, poi le rivolte del Nordafrica, poi gli atti di terrorismo in Europa e nel Mediterraneo. Tutti eventi tragici che però hanno dirottato il turismo verso le nostre mete. Ma fino a quando vogliamo campare sulle sfortune altrui? Non possiamo perdere la fidelizzazione di una clientela che può rappresentare uno zoccolo duro per l’economia turistica locale. Di fronte a questo contesto, non vorrei paventare uno scenario, che potrebbe arrivare da qui a poco, impegnando le pagine di tutta la stampa locale, quello del turismo low cost che si sposta dalla Lombardia per venire qui a Ischia, e trovarsi di fronte a una querelle dello stesso tipo di quella che è nata tra il sindaco di Milano e il presidente della Sardegna. E le dico che non siamo lontani da questo».

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Condivido il discorso sull’assenza di concertazione pubblico-privato tuttavia, sulle terme la materia va oltre.
In molti immaginavano che lo sforzo sarebbe stato maggiore, da parte della proprietà Poseidon: oltre l’apertura della sola spiaggia, includendo almeno alcune delle piscine più grandi, visto che i protocolli indicano due metri quadri a persona e che la metà delle piscine presenti non ne consente il rispetto.
Soltanto degli esperti del settore tuttavia, sarebbero in grado di valutare se ciò sarebbe stato realmente attuabile, considerando la vastità e l’articolazione piuttosto complessa della struttura e gli incrementi di costi di gestione, prevenzione covid, sicurezza, igiene e vigilanza, in aggiunta ai rischi di contagio connessi all’ambiente caldo-umido, in relazione anche al target, notoriamente di età matura, degli utenti.
Tutto questo avrà contribuito alla cautela ed alla scelta di saltare la stagione, inoltre chi non è italiano, evidentemente interpreta le regole in modo più rigido, non considerando che per noi italiani, le norme sono sempre un po’ “flessibili”, in base al buon senso intuitivo…
Da non trascurare infine che, il rischio di restare invischiati in procedure legali dai tempi biblici, notoriamente italici (responsabilità penale in caso di contagio), ha dato il colpo di grazia.

Valerio Baiocchi

Assolutamente d’accordo con il collega, difficilmente si sarebbe potuto scrivere meglio. La decisione di non aprire del Poseidon speriamo non sia definitiva. Non lo dico in veste di entusiasta fruitore della struttura (che confesso di essere) lo dico perché il Poseidon fuori dell’isola ( ahimè non sono isolano e neanche campano) é percepita come una delle eccellenze dell’ isola.
L’ isola senza Poseidon potrebbe essere meno appetibile per i turisti e in questo momento l’ isola deve mandare esattamente il messaggio contrario. Certo mi rendo conto che gestire una struttura come il Poseidon in questo momento, con i costi che ha, non é semplice. Mi rendo anche conto che le amministrazioni locali hanno un carico di lavoro incredibile in questo momento per cercare di chiudere le falle che si aprono giorno per giorno in un tessuto sociale che vive di turismo e non vorrei essere al posto loro. Auspico solo che si possa aprire un dialogo fra tutti gli attori per cercare ( se esiste) una soluzione per traghettare l isola verso lo sviluppo che merita per una giusta valorizzazione delle eccellenze e del tanto lavoro che gli isolani ci mettono. In bocca al lupo.

Biagio

Finalmente ,che bello dire le cose come sono , speriamo che la popolazione Ischitana sia consapevole di dove stiamo andando. Mi auguro che lo stato ,le regioni ,i comuni , inizino a preoccuparsi del comparto turistico ,chiaramente senza elargizioni di elemosine,che offendono la dignità dei lavoratori ,che vengono già sfruttati e sottomessi dai datori di lavoro.Chi sa capisce quello che sto’ dicendo ,stiamo rischiando troppo cari politici,smettetela di pensare sempre ai propri tornaconto ,di questo passo prima o poi si bloccherà tutto ed anche voi sarete coinvolti ,vi invito a non sentirvi intoccabili.

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