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Così si distrugge la Posidonia

Gianluca Castagna | Ischia – Il pericolo diventa macroscopico soprattutto nei weekend. Quando il carattere “rapinoso” del turismo mordi e fuggi rischia di distruggere una delle piante più preziose del nostro ecosistema marino: la Posidonia. L’ancoraggio di barche di ogni grandezza a pochi metri di profondità e in prossimità di praterie di Posidonia è diventata una pratica abituale. Malgrado l’istituzione dell’Area Marina Protetta, o forse proprio in virtù delle innumerevoli traversie che ne hanno segnato il cammino e paralizzato il funzionamento, decine di ancoraggi al giorno strappano quotidianamente la pianta dal suo fondale. Più grande è l’ancora, più dannosa l’aratura. Un impatto che strappa le radici e gli steli (in media 34 ciuffi di foglie), mentre la rigenerazione è troppo lenta per compensare un tale sradicamento. Al posto delle praterie, a fine stagione, i nostri fondali sono caratterizzati da Posidonia a “macchia di leopardo”. Per fortuna, con la fine dell’alta stagione turistica, i diportisti raggiungo l’isola soprattutto nel weekend, ma se l’ancoraggio continuasse ai ritmi forsennati dell’estate, la scomparsa di questa pianta marina fondamentale per il mantenimento degli ecosistemi sarebbe una triste certezza. Se altrove mondo conservano e tutelano questa biodiversità, nei nostri mari l’importanza di questa specie vegetale viene completamente ignorata. Controlli pochi, sensibilità zero, menefreghismo massimo. Eppure basterebbe poco (per cominciare): adottare tecniche e materiali che riducono gli impatti; scegliere un fondo di sabbia fuori dalla prateria, salpare l’ancora solo quando si è giunti all’altezza della stessa

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