CRONACAPRIMO PIANO

LE ULTIME STRADE PER RIPRENDERSI MATTIA

I legali e la madre cui è stato strappato il bambino di 8 anni stanno valutando se percorrere la strada del ricorso in Cassazione, che però potrebbe essere un sentiero “tortuoso” da percorrere. La possibile ciambella di salvataggio della Riforma Cartabia. E intanto le psicologhe di Protocollo Napoli sparano a zero: «Prelievo forzoso, procurato al piccolo un trauma gravissimo»

L’epilogo è stato di quelli tristi, oltremodo drammatici. Il piccolo Mattia strappato a forza dalle braccia della madre e portato via di peso dalla sua abitazione per essere accompagnato in una casa famiglia a seguito di un provvedimento del Tribunale di Napoli è un’istantanea difficile da dimenticare e una decisione davvero dura da digerire. Su questa vicenda, per evidenti ragioni di opportunità, fin qui abbiamo sempre deciso di tenere il basso profilo, ma appare evidente che se di parole ne sono state spese tante (anche da parte di soggetti direttamente e indirettamente coinvolti in questo caso) siamo davanti ad una vicenda complessa sulla quale molti aspetti non sono stati adeguatamente sviscerati. Ed è giusto così, visto che ci si trova dinanzi ad un minore, ma la precisazione va fatta per evitare che si possano generare equivoci e fraintendimenti arrivando così ad una visione distorta o comunque non veritiera di questa storia.

Partiamo da un assunto, il braccio di ferro giudiziario non è ancora finito e potrebbe vivere un’appendice. Potrebbe, appunto, ed il condizionale non è affatto casuale. Si potrebbe percorrere la strada del ricorso in Cassazione, ma questo va valutato insieme alla madre del piccolo Mattia, che dovrà dire se intende percorrere o meno questo “sentiero”. L’ostacolo di fondo è di natura prettamente giuridica: se la Corte di Appello ha dichiarato inammissibile il reclamo presentato avverso il provvedimento del Tribunale, è davvero difficile pensare che dalla Suprema Corte possa arrivare un orientamento diverso. Però… c’è un però. Prima dell’introduzione della riforma Cartabia i reclami contro i provvedimenti istruttori non erano ammessi ma adesso lo sono diventati in virtù della predetta riforma datata 28 febbraio. Questo significa in realtà che il reclamo dei legali Clotilde Di Meglio e Girolamo Andrea Coffari avrebbe potuto essere dichiarato ammissibile perché le norme di procedura civile sono immediatamente applicabili anche col vecchio regime, se compatibile. Non solo, va considerato che questa compatibilità diventa ancor più marcata nella misura in cui in questo momento esiste una palese disparità tra chi si trova a discutere adesso provvedimenti contro la potestà e chi invece ha cominciato prima il proprio iter giudiziario e questo potrebbe portare anche a risvolti di natura costituzionale. Un’altra carta che ci si potrebbe giocare sarebbe legata a qualche documentazione relativa alla salute del bambino, nel caso in cui le carte accertassero l’inidoneità alla sua condizione nella casa salute: in questo caso si potrebbe fare nuovamente leva sul tribunale, ma se parliamo di sentieri questo oggettivamente pare proprio tortuoso.

Intanto a tornare sulla vicenda – entrando a gamba tesa – sono anche le psicologhe di Protocollo Napoli che in un comunicato stampa scrivono: “”Vi sono numerose testimonianze dell’esecuzione di questa ordinanza, tra cui quella del Sindaco di Lacco Ameno che ha parlato di una ‘sconfitta dello Stato’ e ‘della giornata più nera della sua vita’, e le registrazioni audio dei giornalisti. Queste testimonianze dimostrano che il prelievo forzoso del bambino, con la partecipazione dei vigili del fuoco e della polizia, ha comportato la rimozione della porta e l’irruzione in casa tra urla, terrore e pianti. Il bambino è stato strappato dalle braccia della madre in cui si era rifugiato, come qualunque bambino terrorizzato da eventi avversi e incontrollabili che colpiscono improvvisamente certezze e percezioni circa la propria sicurezza (il sentirsi sicuro nella propria casa e al riparo tra le braccia della propria madre). Riteniamo quindi che, come chiunque può vedere, l’esecuzione dell’ordinanza abbia provocato in Mattia un trauma gravissimo, dal quale anche come psicologhe sappiamo che sarà molto difficile riprendersi a causa delle implicazioni che un trauma del genere può comportare su tutto l’assetto di vita di un bambino”. Il Protocollo Napoli, centro studi e ricerche sulla vittimizzazione secondaria (Aps Psy-com), ribadisce testualmente nella sua nota “quanto già espresso in occasione del decreto, emesso dal Tribunale di Napoli, che richiedeva l’allontanamento dalla madre e il ricovero in comunità del piccolo, anche con l’uso della forza e rimuovendo ostacoli mobili e immobili. La sospensiva della misura, concessa dalla Corte d’appello, su ricorso della madre, è stata poi superata dalla conferma delle disposizioni già prese dal Tribunale di Napoli. Prima di questo epilogo Protocollo Napoli, come altre associazioni e centri anti violenza, si era battuto perché ciò non accadesse. L’ordinanza è stata eseguita, con le modalità indicate”.”Gli effetti del trauma- denunciano le esperte riferendosi al prelevamento forzoso- risultano generalmente resistenti alle cure psicoterapeutiche, se esso si reitera e si consolida e se quel bambino non viene sottratto rapidamente alle condizioni che lo isolano dal proprio mondo affettivo e sociale e quando soprattutto lo tengono lontano della figura materna, in cui evidentemente venivano riposti affetto e fiducia. Ricordiamo che contro questo tipo di trattamento traumatico (in assenza di rischi per la vita), che separa ex abrupto il bambino dal genitore collocatario – in questo caso la madre – procurandogli ingiuste sofferenze e traumi, si sono espresse nel tempo varie Ordinanze di Cassazione: 9691/22; 13217/21; 21425/22; e poi: CEDU, Sentenza del 10 novembre 2022 – Ricorso n. 25426/20 – Causa I.M. e altri c. Italia; e ancora: Corte di Appello di Roma, Sezione minorenni del 3.11.20; Corte di appello di Venezia terza sezione civile, del 12.12.22. Con questi presupposti e confortato dai tanti giudizi di Cassazione e di Appello nonché della CEDU, Protocollo Napoli ha denunciato la nocività di queste procedure giudiziarie- continuano- ancora diffuse sul territorio nazionale, e continua oggi a farlo nel caso del bambino di Ischia, senza per questo considerarsi irrispettoso dell’ordinamento giudiziario e del Tribunale di Napoli come istituzione nel suo complesso. Riteniamo quindi necessario e chiediamo con forza che il bambino sia affrancato da un ingiusto ricovero in comunità che lede la sua salute, procura gravi danni alla sua integrità psico-fisica e che siano pertanto ripristinati i suoi diritti: al domicilio, ai legami familiari originari, al permanere nel suo contesto di vita, alla salute, al benessere e alla sicurezza personale”.

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