LE OPINIONI

«Caffè Scorretto» «A Mizar»

Ciao Mizar. Non sapevo se scriverti utilizzando questo spazio. Ci ho pensato un poco prima di farlo. Ti confesso una cosa: tu hai contribuito a realizzarlo. Non te l’ho mai detto ma le tue osservazioni, che ho sempre letto con estremo interesse, mi hanno fatto maturare parecchie riflessioni durante gli anni e di pensare a come metterle insieme. Come un seme, ogni volta l’hai gettato nei tuoi “sotto tiro” in attesa del tempo giusto per germogliare. Lo sguardo acuto, a volte pareva un laser in grado di fotografare fatti, persone e cose con una chiarezza millimetrica. S’infilava nelle storture di questo luogo con l’intenzione di scioglierle e correggerle in profondità, in favore di un’isola che avrebbe potuto dare molto a noi e a se stessa. È sempre difficile avere a che fare con la morte. Soprattutto per chi, da bambino, era quasi obbligato a non partecipare ai funerali.

Non te l’ho mai detto ma le tue osservazioni, che ho sempre letto con estremo interesse, mi hanno fatto maturare parecchie riflessioni durante gli anni e di pensare a come metterle insieme. Come un seme, ogni volta l’hai gettato nei tuoi “sotto tiro” in attesa del tempo giusto per germogliare. Lo sguardo acuto, a volte pareva un laser in grado di fotografare fatti, persone e cose con una chiarezza millimetrica. S’infilava nelle storture di questo luogo con l’intenzione di scioglierle e correggerle in profondità, in favore di un’isola che avrebbe potuto dare molto a noi e a sé stessa

Probabilmente perché il dolore, le lacrime e il carico emotivo per la perdita di un parente come di un conoscente sarebbero stati pesanti da sopportare. Forse è questa una delle ragioni per cui ai saluti estremi non ci trovi quasi mai i bambini. Questa cosa non l’ho mai capita. O forse sì. Semplicemente si tende a spostare in avanti, quanto più possibile, il momento di diventare adulti che è uno “shock”, se vogliamo, diluito durante il corso della vita.

La morte, essere di fronte e a pochi metri di una bara, invece, lo trasforma in qualcosa d’inevitabile e immediato, con cui necessariamente devi fare i conti. Forse le cause che limitano la partecipazione dei bambini ai funerali sono conficcate nella nostra cultura, nell’educazione o nel pensiero che è più facile e leggero scordarsi della morte perché rispetto a chi ci lascia, un bambino ha per definizione ancora molto tempo davanti a sé. Avrà modo di pensarci, se vorrà, quando sarà il momento. Se ci fai caso, è molto raro che qualcuno se ne ricordi. Chi più chi meno, siamo soliti allontanare il pensiero di questa “ nostra sorella”, come dicono i preti. Rimossa la presenza della morte nella vita, forse aumentano le energie da dedicare alla quotidianità nel tentativo, vano e illusorio, di occultarne il peso tra le pieghe del tempo individuale che scandisce quello collettivo. Un tempo che però torna vuoto quando si ha a che fare con la perdita di una persona. Se poi è cara, gentile, attenta, fuori dalla norma e lungimirante il vuoto rischia di ampliarsi. Sono stato nella chiesa di San Domenico, per salutarti. In silenzio, in piedi, poco fuori al portoncino estraniato dal vociare intrecciato e sussurrato nel cortile. Mi ha molto sorpreso che tu, in vita, avessi pensato alla morte. Avevi espresso il doppio desiderio di andartene subito, senza soffrire, e prima di tua moglie Chiara perché non ne avresti sopportata la perdita. Ascoltarlo mi ha colpito.

È sempre difficile avere a che fare con la morte. Soprattutto per chi, da bambino, era quasi obbligato a non partecipare ai funerali. Probabilmente perché il dolore, le lacrime e il carico emotivo per la perdita di un parente come di un conoscente sarebbero stati pesanti da sopportare. Forse è questa una delle ragioni per cui ai saluti estremi non ci trovi quasi mai i bambini. Questa cosa non l’ho mai capita. O forse sì. Semplicemente si tende a spostare in avanti, quanto più possibile, il momento di diventare adulti che è uno “shock”, se vogliamo, diluito durante il corso della vita. La morte, essere di fronte e a pochi metri di una bara, invece, lo trasforma in qualcosa d’inevitabile e immediato, con cui necessariamente devi fare i conti

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Chi ci pensa – mi sono detto – se non chi possiede, ed è!, una sensibilità fuori dal comune? Questo ti ha sempre caratterizzato. L’hai manifestato in ogni occasione, testimoniato nelle tue riflessioni, nelle proposte, nei racconti come negli esempi che hanno riguardato la tua vita di Comandante di navi che cercavi di calare sull’isola per darci modo di uscire da questo stagno e allontanarci dalla rotta che spesso fagocita e rende sordi, indifferenti, a volte ottusi e poche volte pienamente accoglienti nei confronti di chi ha lo sguardo lungo e oltre il limite. Caratteristiche che non hai mai avuto paura di mostrare perché forse hai sempre saputo, per esperienza, che quel confine è solo nella nostra testa, nel modo di pensare e nella mentalità che di norma ha bisogno di recinti caldi e stretti per sentirsi al sicuro e lontano da qualsiasi scombussolamento. Tra i messaggi che ci siamo scambiati, ce n’è uno che risale a marzo scorso. C’era stata una riunione tra i sindaci. Mi chiedesti: “Petrù’, cosa bisogna fare secondo te per dare un contributo a queste persone riunite ieri? Scriviamo, e poi? Che succede?”. A questa domanda rispondo allo stesso modo, Mizar. Spingerle verso il muro della propria responsabilità, può essere una delle chiavi. Nessuno potrà dire che non ne sapeva niente. In particolare per quel che riguarda le amministrazioni e la politica, tutti dovranno spiegare per quale motivo non hanno (ancora) adottato una rotta, o avviato un percorso comune che già esiste e neppure bisogna perdere tempo a inventare.

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Sono stato nella chiesa di San Domenico, per salutarti. In silenzio, in piedi, poco fuori al portoncino estraniato dal vociare intrecciato e sussurrato nel cortile. Mi ha molto sorpreso che tu, in vita, avessi pensato alla morte. Avevi espresso il doppio desiderio di andartene subito, senza soffrire, e prima di tua moglie Chiara perché non ne avresti sopportata la perdita. Ascoltarlo mi ha colpito. Chi ci pensa – mi sono detto – se non chi possiede, ed è!, una sensibilità fuori dal comune? Questo ti ha sempre caratterizzato. L’hai manifestato in ogni occasione, testimoniato nelle tue riflessioni, nelle proposte, nei racconti come negli esempi che hanno riguardato la tua vita di Comandante di navi che cercavi di calare sull’isola per darci modo di uscire da questo stagno e allontanarci dalla rotta che spesso fagocita e rende sordi, indifferenti, a volte ottusi e poche volte pienamente accoglienti nei confronti di chi ha lo sguardo lungo e oltre il limite

Ed è a questa Responsabilità, con la “R” maiuscola, che mi appello caro amico e che tu hai sostenuto. Quando è condivisa, è un po’ più leggera se il suo peso è distribuito. Adesso che sei andato via, perdonami se lo evidenzio, l’unico modo per trovare un nuovo equilibrio è continuare a imitarti, oltre all’ammirazione che si può provare nei tuoi confronti. Come diceva C. G. Jung: “La società è organizzata non tanto dalla legge quanto dalla tendenza all’imitazione”. Forse è ciò che manca a Ischia per segnarne l’inversione di tendenza in senso positivo. Grazie Giovan Giuseppe per averci lasciato un poco di questa Responsabilità. Sarà solo grazie a questa cintura, passaggio di consegne inaspettato se potremo sentirci meno soli. Buon viaggio amico mio. Arrivederci Mizar.
Pagina Fb Caffè Scorretto di Graziano Petrucci

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