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‘The Tempest’, Aldorasi: «Rito di passaggio, per inventarsi una nuova vita»

Gianluca Castagna | Lacco Ameno –  Roberto Aldorasi è regista, trainer e studioso di antropologia teatrale. Da Napoli si trasferisce in Danimarca per continuare la sua formazione seguendo i seminari dell’Odin Teatret. Con il suo gruppo Questi Fantasmi & Sons (insieme a Mira Noltenius) e con The Jasonites (diretti da Julia Varley) ha realizzato progetti di site-specific theatre e spettacoli in Danimarca, Italia, Germania, Regno Unito, Siria, Libano, Marocco e Brasile. Con il Laboratorio di Altamira, fondato insieme a Pierangelo Pompa, ha realizzato gli spettacoli “Don Giovanni, scherzo per servo e padrone” e “Il Giardino”.
Tornato in Italia nel 2012 e’ stato docente presso il CTU dell’Università di Ferrara. Per Giorgio Barberio Corsetti ha curato le coreografie del “Don Carlos”, diretto da Valerij Gergiev al Teatro Mariinsky di San Pietroburgo, de “La Sonnambula” al Teatro Petruzzelli di Bari e collaborato al “Macbeth” al Teatro alla Scala di Milano. E’ stato assistente di Barberio Corsetti ne “La guerra di Kurukshetra” di Francesco Niccolini.
Ha curato i movimenti di scena di “Educazione Siberiana”, adattamento teatrale del libro di Nicolai Lilin di Napoli Est Teatro e del Teatro Stabile di Torino.
Tra gli ultimi lavori spicca “I duellanti” con Alessio Boni e Marcello Prayer.
Per Metamorphosis 2017, a Villa Arbusto, ha curato il workshop “Navi e teatri” e la regia dello spettacolo “The Tempest – Castaway Night Club”.
Cosa vuol dire portare la “Tempesta” in uno spazio come Villa Arbusto?
Da un punto di vista di messinscena, vuol dire anzitutto disporre di un giardino magnifico. Quello che, dal Cinquecento in poi, gli aristocratici intendevano come una piccola miniatura del mondo. Nel genere del “romance”, “La Tempesta” di Shakespeare è una rappresentazione allegorica della realtà. Testo e giardino, per come sono stati concepiti, si sposano alla perfezione. Gli spazi ti parlano, ti stimolano, mi piace ascoltarli e valutare, da regista, ogni possibile opzione che mi suggeriscono. Una lunga visione durata un’estate intera.
Lo spettacolo è il punto d’approdo di un workshop, “Navi e teatri”, di sopravvivenza creativa per attori naufraghi. Cos’è finito nell’adattamento?
La lingua comune. Un vocabolario costruito insieme agli attori del laboratorio. Una grammatica dello stare in scena. Non che i ragazzi fossero analfabeti, tutt’altro: sono dei letterati del teatro. Sia da un punto di vista fisico e vocale, quindi tecnico, sia per una disciplina sorprendente. Provare in questi giardini, tra queste aiuole, significa stare attenti, sporcarsi, lasciarsi travolgere. Gli attori sono stati incredibilmente generosi. Senza chiedere niente, in cambio. Forse – almeno lo spero – perché sono riuscito a parlare loro con chiarezza.
Il tradimento, il potere, la magia, l’amore, la libertà, il perdono. Quali aspetti del testo shakespeariano ha voluto privilegiare?
Credo e spero ci siano finiti dentro tutti. La rinuncia alla vendetta, più che il perdono, è un tema che trovo di una profondità enorme. Prospero non è un vecchio come nel testo di Shakespeare, ma un giovane uomo che sta partendo dal suo esilio. C’è incrocio curioso con “L’isola di Arturo”, ancora un’isola letteraria. Il nostro Prospero lascia la fase magica della sua vita, la sua adolescenza al servizio degli spiriti dell’aria, una dimensione dove gli animali parlano, gli oggetti galleggiano, il tempo non va in una sola direzione. Un rito di passaggio che coincide con quello che vivono molti attori dello spettacolo, che stanno per partire e cominciare una nuova fase delle loro vita. Un tema che ha catalizzato molte attenzioni ed energie. Chi di noi, del resto, è al riparo da altri riti e altri passaggi?
Il naufragio è una seconda possibilità? Un atto necessario per rinascere?
Le navi e i teatri, un tempo, erano fatte degli stessi materiali: tavole di legno, tele e funi. Analogia che mi ha sempre appassionato molto. Posti per matti, sognatori o criminali in fuga. Con l’arrivo della nave, il mare viene soppiantato dall’isola, dal bosco. Il naufragio è una porta che si chiude alle spalle. Tutto quello che c’era dietro, non c’è più.
Eppure Prospero torna indietro.
Non è più lo stesso. C’è un passaggio, nel testo, che ci sta molto a cuore, quando Prospero racconta il passato a Miranda: si accusa di aver trascurato il governo del suo popolo, di essersi chiuso nelle sue stanze ad apprendere le pratiche magiche. Un Duca obiettore. Gli indù direbbero che è una grave mancanza verso il proprio karma. Il Dharma, il corretto divenire delle cose, si interrompe.
Il famosissimo epilogo. Un commiato dal teatro, dalla magia, forse dalla vita stessa. Un saluto alla giovinezza. Cosa c’è dopo il congedo?
Inventarsi una vita con quello che ti trovi in tasca.
Anche senza magia?
Prospero fa questa scelta. E’ anche bello che sia una scelta così dura, così anche noi spettatori possiamo polarizzare i nostri sentimenti. Segue il suo destino. Prospero, ora, ha il dovere di governo. Là i magheggi non si fanno.
Una vita possibile senza finzioni?
Si può vivere senza essere artefici magici. Ci salvano il teatro, la letteratura e la follia.

 

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